La Pasquella
Cantori e cantastorie hanno tramandato l'antica tradizione della "Pasquella", uno dei più antichi canti rituali di questua che una volta rappresentavano l’essenza del mondo rurale. Questi appartengono a quella categoria di testimonianze che sono per lo più scomparse, ma che costituiscono vere e proprie pillole di saggezza nelle quali i contadini nascondevano la verità. La Pasquella coincide con una data ben precisa del calendario agricolo ed è un rito propiziatorio legato a credenze addirittura precristiane. Solitamente veniva cantato il giorno dell’ultimo dell’anno e la notte dell’Epifania (5 gennaio) da gruppi di questuanti che cantavano strofe come augurio di salute, di benessere e di abbondanza, in cambio di piccole offerte di denaro, cibo e vino
A questi canti si accompagna la tradizione delle danze etniche per rivivere il ballo come momento di socializzazione e divertimento.
Balli di Carnevale
I vecchi balli nella società contadina si svolgevano soprattutto nei giorni di Carnevale, in occasione delle sagre patronali e paesane e delle fiere che si tenevano nelle varie località, e nei momenti di chiusura dei più importanti raccolti e lavori agricoli. Balli questi ultimi che si svolgevano soprattutto sulle aie e nelle case coloniche. Gli strumenti più usati dai suonatori sono l’organetto e la chitarra, talvolta il violino. Si suonava per il ballo senza appoggiarsi a un testo musicale scritto, nel solco di una pratica tramandata oralmente di generazione in generazione.
I balli della tradizione contadina
Sino alla metà dell’Ottocento i balli contadini più in voga erano il ‘trescone’, dal carattere prettamente romagnolo, la ‘manfrina’, la ‘padvanela’, la ‘furlana’ e il ‘bergamasco’, che si eseguivano a coppie staccate, con giri, salti e minuetti. C’erano poi dei balli particolari, che abbinavano la musica e la danza al gioco: erano i balli cosidetti della scranna e dello specchio, della mela e del fiasco, dei gobbi e dello schioppo, fra i più in voga il ballo del fiore”.
Musica tradizionale romagnola
Appartengono al patrimonio della musica tradizionale romagnola attraverso il recupero delle danze etniche rimaste vive nella memoria contadina fino ai giorni nostri, i balli antecedenti il cosiddetto “liscio” come i saltarelli, le manfrine o monferrine, le furlane, le vanderine e manderine, il ballo dei gobbi, le gighe, i bergamaschi, ecc.
Il liscio romagnolo
Negli ultimi decenni dell’Ottocento arriva il liscio che trae origine dai balli diffusi in Europa nei salotti della borghesia con i suoi tre balli fondamentali: valzer, polka e mazurka. La contaminazione con il folklore popolare porta alla nascita della musica da ballo romagnola e il liscio ne diventa il sinonimo. Si abbandonano i balli di gruppo e si passa alla danza di coppia chiusa. Nella metà del '900, i musicisti si esibiscono nelle sagre paesane, nei caffè, nelle piazze imprimendo un ritmo più veloce alle danze tradizionali. Le orchestre prendono il nome del capo-orchestra come Carlo Brighi, il padre del 'liscio', che introduce gli strumenti tipici, dal clarinetto, i violini, la fisarmonica e inaugura la 'balera' come lo spazio 'da ballo'. A fine anni sessanta, il principale portavoce del 'liscio' è Secondo Casadei che porta all'apice del successo la musica romagnola, introducendo la voce nell'orchestra.
La tradizione continua per la stessa famiglia con Raoul Casadei e vede il moltiplicarsi di formazioni e gruppi musicali in voga. In estate, nel mese di giugno, è nata la rassegna: 'La Notte del Liscio', una grande festa del ballo romagnolo tra tradizione e contemporaneità, in cui salgono sui palchi diffusi in tutta la Romagna, le più importanti orchestre del 'liscio'.