Itinerario Romano

Monumenti di età romana

Che aspetto aveva l’antica Ariminum? Non c’è neanche bisogno di immaginarlo, lo si può ancora vedere seguendo l'itinerario alla scoperta della Rimini romana e facendo un salto al nuovo Visitor Center, un luogo di narrazione, un percorso multimediale ed interattivo che offre al visitatore l’esperienza unica di rivivere la storia di Ariminum, l'antica Rimini romana, con i suoi tesori e le sue bellezze, proponendo suggestioni per intraprendere un itinerario completo e coinvolgente nel territorio.

Ponte di Tiberio

Il percorso inizia dal Ponte di Tiberio, posto al termine, lato nord, del corso d’Augusto. Il monumento romano sorgeva sul fiume Marecchia, l'antico Ariminus intorno al quale, nel 268 a.C., venne fondata ufficialmente la prima colonia di Ariminum per ordine del senato di Roma che mandò seimila coloni, provenienti dall’area laziale e campana, ad impiantare la nuova città in un territorio ancora popolato dai Galli, i temibili nemici vinti dai Romani nel 295 a.C. a Sentino nelle Marche.
Il Ponte di Tiberio crea ancora oggi il collegamento tra la città e il suburbio (il borgo San Giuliano). Da qui iniziano le vie consolari, Emilia e Popilia, dirette al Nord. La via Emilia, tracciata nel 187 a C. dal console Emilio Lepido, collegava Rimini a Piacenza; attraverso la via Popilia, invece, si raggiungeva Ravenna e si proseguiva fino ad Aquileia.
Il ponte, iniziato da Augusto nel 14 e completato da Tiberio nel 21 d.C., come ricorda l'iscrizione che corre sui parapetti interni, si impone per il disegno architettonico, la grandiosità delle strutture e la tecnica costruttiva. Poco spazio è concesso invece all'apparato figurativo, comunque intriso di significati simbolici.
In pietra d'Istria, si sviluppa per una lunghezza di oltre 70 m su cinque arcate che poggiano su massicci piloni muniti di speroni frangiflutti ed impostati obliquamente rispetto all’asse del ponte, in modo da assecondare la corrente del fiume riducendone la forza d’urto, secondo uno dei più evidenti accorgimenti ingegneristici.
La deviazione del Marecchia prima e, più recentemente, i lavori per la predisposizione di un bacino chiuso, hanno messo in luce i resti di banchine in pietra a protezione dei fianchi delle testate di sponda; recenti sondaggi hanno poi rivelato che la struttura del ponte poggia su un funzionale sistema di pali di legno, perfettamente isolati.
Il ponte è sopravvissuto alle tante vicende che hanno rischiato di distruggerlo: dai terremoti alle piene del fiume, dall’usura agli episodi bellici quali l’attacco inferto nel 551 da Narsete, durante la guerra fra Goti e Bizantini di cui restano i segni nell’ultima arcata verso il borgo San Giuliano, e, da ultimo, il tentativo di minarlo da parte dei Tedeschi in ritirata.
Oggi è possibile ammirarlo anche dall'acqua a bordo di piccole barche a remi (info: 333.4844496 Associazione Marinando)
Attraversando il ponte si procede verso Piazza Tre Martiri, percorrendo il corso d’Augusto, l’antico decumanus maximus (decumano massimo) della città.


Piazza Tre Martiri

La piazza Tre Martiri ricalca parte dell’antico foro romano di Ariminum, posto alla confluenza delle due strade principali, il cardo – che raccordava la collina al mare - e il decumano – l’odierno corso d’Augusto che collega l’Arco con il Ponte di Tiberio.
L’antico impianto della piazza, che fu più ampio e dilatato fino alla via San Michelino in foro, era lastricato con grandi pietre rettangolari, ora in parte visibili attraverso aperture recintate.
La piazza, prima di essere dedicata ai tre partigiani riminesi uccisi nella seconda guerra mondiale, era intitolata a Giulio Cesare. Ciò in ricordo del discorso che il condottiero avrebbe tenuto nel 49 a.C. alle sue legioni proprio nel foro di Ariminum in occasione dello storico passaggio del Rubicone, il fiume che allora segnava il confine dello Stato romano: in realtà Cesare, nel De Bello Civili, non afferma di aver arringato i soldati a Rimini ma a Ravenna, prima di attraversare il Rubicone. In tal modo egli si presenta come un generale democratico che coinvolge le proprie truppe prima di importanti decisioni. Sta di fatto che fin dall’antichità si tramanda che il foro di Rimini sia stato scena dell’avvenimento e in sua memoria la piazza ospita una statua bronzea di Cesare, copia di un originale romano.
Dall’età tardo antica, nel lato a mare, si insediarono le chiese di San Michele in foro, di Sant' Innocenza e San Giorgio, oggi distrutte.
Nel Medioevo la piazza, oramai in secondo piano rispetto a quella del Comune, fu luogo di mercati: attraverso la via dei Magnani (ora via Garibaldi), segnata da un arco fra la cortina delle abitazioni, giungevano i prodotti dal contado. Sotto i portici si aprivano le beccherie, botteghe per la vendita della carne.
La piazza fu inoltre teatro di giostre, tornei cavallereschi, manifestazioni e cerimonie pubbliche legate anche alla famiglia Malatesta. Capitelli gotici e rinascimentali ornano il portico sul lato monte della piazza.
Agli inizi del Cinquecento, fu edificato il Tempietto dedicato a Sant'Antonio da Padova in ricordo del miracolo che, nel XIII secolo, rese una mula devota all’ostia consacrata. Ricostruito nel XVII secolo, ha mutato l’aspetto originale per i vari restauri. Dietro il tempietto i Minimi di San Francesco di Paola fondarono, agli inizi del Seicento, un luogo di culto, riedificato nel 1729: qui, dal 1963, sorge la chiesa dei Paolotti.
Nel 1547 si costruì l'isolato con la Torre dell'Orologio, che diede alla piazza la forma e le dimensioni attuali, con edifici porticati al posto delle antiche beccherie. Su progetto di Francesco Buonamici la torre, nel 1759, subì un rifacimento. Con il terremoto del 1875, la parte superiore venne demolita. Oltre all’orologio, dal 1750 reca un quadrante con calendario, movimenti zodiacali e fasi lunari.
Luogo di mercati e quindi salotto della vita cittadina, la piazza si presenta oggi nell’arredo urbano eseguito nel 2000, teso a valorizzare l’antico impianto e i segni della memoria.
La storia più recente lega la piazza ai tragici eventi bellici: ne consegna il ricordo il Monumento ai Caduti e il nome stesso della piazza, intitolata ai tre martiri partigiani impiccati il 16 agosto 1944 nel punto ora contrassegnato da un inserto di marmo.
Proseguendo lungo il decumano vi troverete davanti all’imponente Arco di Augusto


Arco di Augusto e anfiteatro

L’Arco, il più antico conservato nell'Italia settentrionale, segna l'ingresso alla Città, per chi proviene dalla Flaminia, la via tracciata dal console Flaminio nel 220 a.C. per collegare Roma a Rimini.
Eretto nel 27 a.C. come porta onoraria, esprime la volontà del Senato di celebrare la figura di Ottaviano Augusto, così come manifestato dall'iscrizione posta sopra l'arcata. Il monumento si inseriva nella cinta muraria più antica, della quale, ai suoi lati, sono visibili i resti, in blocchi di pietra locale. Oggi si presenta isolato, in seguito all'intervento di demolizione dei corpi adiacenti eseguito negli anni '30 del Novecento.
La costruzione originaria, inglobata in due torri poligonali di cui rimangono poche tracce, era sormontata da una statua dell'imperatore a cavallo o su di una quadriga: la sommità, forse crollata per i terremoti, nel Medioevo venne orlata da una merlatura. L'architettura è esaltata da un ricco apparato decorativo carico di significati politici e propagandistici. L'apertura, talmente ampia da non poter essere chiusa da porte, ricordava la pace raggiunta dopo un lungo periodo di guerre civili; le divinità rappresentate nei tondi (Giove e Apollo nel lato esterno, Nettuno e Roma verso la città) richiamavano la grandezza di Roma e la potenza di Augusto. L'intera struttura è permeata da un forte carattere religioso che sottolinea l'aspetto sacrale di porta della città.
L'arco e il ponte di Tiberio, realizzati nell'ambito di un più generale programma urbanistico promosso da Augusto, sono sempre stati assunti come simboli della Città fin dal Medioevo.

Da qui si prosegue lungo via bastioni orientali, in direzione della stazione ferroviaria. All'incrocio con via Roma, sulla sinistra incontrerete i resti dell'antico anfiteatro romano edificato nel II secolo d.C. Sorgeva in prossimità della spiaggia, allora molto più arretrata, nelle vicinanze dell'antico porto che si trovava nell'area ora occupata dalla vicina stazione ferroviaria.
Era una costruzione imponente che sicuramente suscitava grande effetto soprattutto in chi giungeva dal mare. Di forma ellittica, la sua arena aveva un'ampiezza di poco inferiore a quella del Colosseo e poteva ospitare almeno dodicimila spettatori. La struttura era in laterizio e si sviluppava su due ordini; quello inferiore, porticato con sessanta arcate. Proseguite ora verso la prossima tappa, Piazza Ferrari. Dirigetevi verso il Tempio Malatestiano e, imboccando l'omonima via prospiciente, raggiungete Piazza Ferrari, dove troverete la Domus del chirurgo e, in via Tonini, l’attiguo Museo della Città con la sezione archeologica.


Il Museo archeologico, il Lapidario romano e la Domus del Chirurgo

Il Museo ha sede nell'ex convento dei Gesuiti, eretto tra il 1746 e il 1755, nell'odierna zona di Piazza Ferrari.  Nel dicembre 2007 è stata aperta definitivamente la sezione archeologica dedicata alla Rimini imperiale fra II e III secolo. Tra i reperti più notevoli: l'eccezionale strumentario medico-farmacopeutico e preziosi arredi della "Domus del chirurgo" e i mosaici, gli intonaci, le sculture, i vetri e le ceramiche, gli oggetti in osso e bronzo della domus di Palazzo Diotallevi, esempio delle agiatezze delle dimore borghesi di Ariminum.
Nel cortile interno del Museo è allestito il Lapidario Romano in cui sono raccolte iscrizioni dal I secolo a.C. al IV secolo d.C. che recano informazioni sulla sfera familiare, religiosa e politica dei personaggi di quel tempo.
Fuori dal Museo, nell’attigua piazza Ferrari, si trova il complesso archeologico denominato Domus del Chirurgo, scoperto nel 1989 durante lavori di arredo urbano. Lo scavo, condotto dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna in collaborazione con i Musei Comunali di Rimini, ha messo in luce una domus della seconda metà del II sec. d.C., edificata in un'area già abitata dall'età repubblicana, non lontano dal porto di Ariminum.
Prestigiosi mosaici e vivaci affreschi descrivono una residenza ad uso privato e professionale. Fra gli ambienti di rappresentanza risalta il triclinium ornato da un mosaico con grande vaso e, alle pareti, da affreschi e da un raffinato pannello in vetro che raffigura pesci su fondo marino.
Nella stanza dall'elegante mosaico con Orfeo è stato rinvenuto un ricchissimo corredo chirurgico insieme a  mortai per la preparazione di farmaci, inerenti all'attività medica del proprietario.
La domus, articolata su due piani, fu distrutta da un incendio nella seconda metà del III sec., sotto l'incalzare delle prime orde barbariche.
Fra il V e il VI secolo, sui ruderi della parte anteriore, crebbe una residenza con mosaici a motivi geometrici. La tecnica di riscaldamento di alcuni vani denota il prestigio del palazzo, soggetto a graduale distruzione, fino all'inserimento, sulle sue rovine, di sepolture.
Nel VII sec. la zona fu occupata da un edificio "povero" nelle tecniche costruttive, che, ancora nell'altomedioevo, lasciò campo ad uno spazio aperto. I materiali rinvenuti sono esposti nel vicino Museo della Città.


Porta Montanara

Proseguiamo ora verso via Garibaldi, l'antico cardo massimo della città romana. Se lo si percorre verso destra si arriverà a Porta Montanara, risalente al primo secolo a.C., arco d'ingresso della città romana sulla via che conduceva ad Arezzo.
La costruzione della porta Montanara, detta anche di Sant'Andrea, si inserisce in un organico programma di riassetto del sistema difensivo cittadino, attribuito a Silla. La porta rientrerebbe nell’ambito delle ricostruzioni che, nei primi decenni del secolo, seguirono alle rappresaglie nei confronti della città, già sostenitrice di Mario, suo avversario nella guerra civile. L’arco a tutto sesto, in blocchi di arenaria, costituiva una delle due aperture della porta che consentiva l’accesso alla città per chi proveniva dai colli lungo la via aretina, percorrendo la valle del Marecchia. Il doppio fornice agevolava la viabilità, incanalando in passaggi paralleli, il percorso in uscita da Ariminum, attraverso il cardo massimo, e quello in entrata.
Indagini archeologiche hanno appurato l’esistenza di un’ampia corte di guardia con una controporta interna, a conferma della complessità del sistema difensivo.
Già nei primi secoli d.C., l’arco volto a Nord venne tamponato: la porta, così ridimensionata ad un solo fornice, continuò a segnare l’ingresso alla città fino alla seconda guerra mondiale.
Al termine del conflitto, nella convulsa fase ricostruttiva, il monumento fu distrutto nella parte rimasta in vista per tanti secoli, mentre fu recuperata la parte occultata nelle murature delle case adiacenti.
L’arco “riscoperto” venne rimontato dopo varie vicessitudini lontano dal luogo originario, a fianco del Tempio Malatestiano, prima di essere ricomposto nella zona originaria.


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